Sergio Zavoli nel 2008 ad Arona: una lezione di giornalismo ed umanità

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A novembre 2008 Sergio Zavoli, recentemente scomparso, fu l’ospite d’onore come Premio alla carriera nel Premio letterario “Città di Arona – Gian Vincenzo Omodei Zorini”, che proprio quell’anno celebrava i dieci anni.
Il trofeo offerto dall’Ente Fiera del Lago Maggiore gli fu assegnato con la motivazione «Maestro dell’inchiesta televisiva, grande innovatore dei linguaggi della cronaca e dello sport, Sergio Zavoli ha saputo dedicare la sua lunga carriera ad una rigorosa, quanto profondamente umana, indagine sul nostro tempo».
Chi scrive – e scriveva allora – si trovò presente nel doppio ruolo di organizzatore e di cronista, e ricorda bene come l’intervento di Zavoli dopo la premiazione fu un momento di grande intensità, con il folto pubblico che nonostante l’ora stentava a lasciare la sala, e che molti chiesero se fosse stata fatta una ripresa video. Ettore Mo, firma aronese del Corriere, aveva ricordato come ai suoi inizi, Zavoli fosse già sul piedistallo, un esempio cui tendere, e confessò di invidiarne l’espressione immediata, costruita come uno scritto con la voce, articolata e sempre precisa.
Il giornalista riminese aveva esordito parlando del ruolo del giornalista e dell’informazione: «McLuhan disse che con la tv, che arriva ovunque, saremmo stati tutti protagonisti e perciò più uguali: niente di più falso, se pensiamo ai milioni di persone senza neppure la luce elettrica o i quarantamila bambini che muoiono ogni giorno. Questo pensiero ci dovrebbe annichilire, invece tutto passa ormai inosservato, stiamo tristemente diventando indifferenti al male. E allora come possiamo meravigliarci del disincanto dei giovani? Quando incontro giovani agli esordi nel giornalismo, non ho cuore di raccontargli i nostri inizi così felici, perché leggo in loro il dramma della precarietà in tutti i sensi».

Zavoli con la presidente del circolo “Omodei Zorini”, Ornella Bertoldini, e Gianni Caligara dell’Ente Fiera

Partendo dalla lettera lasciata dal partigiano liberale Giacomo Ulivi, «che scrisse ai genitori, non sostenitori del fascismo ma che neppure vi si erano opposti “Vedete, succedono cose terribili quando si pensa sempre che il destino degli altri non ci riguardi”» Zavoli aveva richiamato il ruolo della politica “alta”, la necessità di confronto, di dialogo, di ricercare l’altro che ci completa nella diversità: «Se c’è un momento in cui c’è più bisogno di politica, è proprio quello in cui la politica sembra far di tutto per farcene allontanare, per farle voltare le spalle».
Da qui la necessità di «non credere che ci sia sempre un altro che può fare il mio lavoro, ma impegnarsi in prima persona» e di parlare ai giovani: «Non dobbiamo ripetere il grande errore del Sessantotto: li abbiamo visti come inavvicinabili, e loro si sono trovati rifiutati e soli, riconoscendosi in chi non gli proponeva altro che la parola “contro”: ma la storia accoglie chi si disegna in essa, non chi si cancella».
In chiusura dell’incontro, un ricordo del mitico “Processo alla tappa” del Giro d’Italia che il 2 giugno 1966 vide la tappa Parma – Arona. «Invitavo sempre Vito Taccone e Vittorio Adorni – ha ricordato Zavoli – perché rappresentavano due mondi quasi opposti: Taccone un orso marsicano, dall’eloquio colorito, che dichiarava onestamente “ogni premio di tappa, son tre cambiali onorate”. Adorni invece elegante, profumato, parlava bene, aveva frequentazioni mondane. Una volta il regista inquadrò un cartello tra il pubblico con scritto “Zavoli cambiati il maglione”, che evidentemente nella tv in bianco e nero appariva sempre uguale. Ora, vorrei rassicurare che ne avevo una serie ed erano blu».