La 75ª commemorazione della Battaglia di Arona

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Sono passati ben 75 anni dalla Battaglia di Arona combattuta dai partigiani contro le forze nazifasciste il 14 aprile del 1945. Esattamente undici giorni prima del termine del secondo conflitto mondiale. Nei precedenti 74 anni è stato celebrato con grande partecipazione di pubblico e associazioni il ricordo di quell’infausto giorno di primavera. Quest’anno il monumento ai caduti e il mausoleo deserti per l’emergenza sanitaria. Il sindaco Alberto Gusmeroli però ha celebrato la ricorrenza: «L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e ai vari livelli affrontando, non deve impedirci di ricordare i nostri caduti di un altra guerra contro l’invasore. Martedì mattina con un rappresentante degli Alpini di Arona e il vice-sindaco Federico Monti ho voluto essere all’angolo di tra le vie Paleocapa e Matteotti dove abbiamo posato una corona di fiori a ricordo di chi perse la
vita con le note della tromba che hanno intonato il Silenzio». Ma nelle menti, in particolare dei meno giovani, il ricordo rimane vivo. Dodici anni fa avevo intervistato tre personaggi che quella battaglia l’anno combattuta. Mi pare corretto ricordare con le loro parole di allora per filo e per segno quella battaglia. I loro nomi: Mario Fanchini, Luciano Del Torchio e Carlo Pedroli, tre partigiani che hanno vissuto le fasi che hanno preceduto la battaglia, il tragico combattimento e i funerali solenni delle 17 vittime, 14 partigiani e tre civili, rimaste sulla strada, undici giorni prima della Liberazione. Le testimonianze sono state ripercorse da ciascuno: Carlo Pedroli allora era poco più di un ragazzino, ha svolto compiti di staffetta: «E’ stata una giornata infausta – aveva raccontato -, sono sempre commosso nel rievocare quei momenti, i caduti e i funerali». Mario Fanchini, allora
venticinquenne, era al fianco del capitano “Bruno”, nome di battaglia di Albino Caletti, suo compaesano, il responsabile delle truppe partigiane, che diventerà anche sindaco di Castelletto Ticino. «Ci siamo trovati alle tre del mattino nella zona del cimitero di Arona – ricordava Fanchini -, dovevamo entrare in azione alle 5 esatte nel piazzale della stazione. Per un ritardo nell’arrivo delle nostre truppe e delle armi, abbiamo attaccato alle 5 e 40. Dovevano arrivare tre bazooka, ma due non arrivarono perché rimasero feriti i portatori e uno venne poco usato dal momento che non tutti
lo sapevano utilizzare». Già alle 10 di quella mattina le munizioni iniziarono a scarseggiare.
Quattordici sono stati i partigiani e tre i civili caduti sotto il fuoco nemico. Arrivò l’ordine di ripiegare. Tutti i partigiani rimasti, oltre 150, per sfuggire a tedeschi e fascisti, scelsero di rifugiarsi nei tombini delle fogne, e nella galleria del condotto del Rio San Luigi, da dove, attraverso un cunicolo, sparirono improvvisamente. I tedeschi, sorpresi, non capirono assolutamente come un reparto così nutrito potesse scomparire in un solo istante. I feriti furono medicati dalle donne nella chiesetta di piazza San Rocco a Mercurago, edificio che ora non esiste più, dove si erano rifugiati.
Il motivo di questa sconfitta lo ricordava con lucidità Fanchini: «Uno dei nostri punti deboli fu quello di non presidiare la galleria ferroviaria, sotto la Rocca Borromea a nord della città, da lì i tedeschi, che erano alloggiati all’Hotel Meina, entrarono in città e presero alle spalle i nostri uomini.
Fu una strage». I funerali vennero celebrati il 17 aprile del 1945 alla presenza di settemila persone e con il rispettoso silenzio delle armi tedesche. Del Torchio, seppur con gli acciacchi dell’età, è ancora vivo, mentre Fanchini e Pedroli se ne sono andati per sempre, ma il loro ricordo è una testimonianza che rimarrà sui libri che hanno trattato l’argomento. La Battaglia di Arona e l’anniversario della Liberazione sono sempre stati rievocati o al monumento dei caduti di piazza De Filippi o, più recentemente, al Sacrario del cimitero cittadino di via Vittorio Veneto.