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Scuole riapertura con slalom

Se a due anni dall’inizio della pandemia stiamo ancora parlando di scuola in presenza o in dad, allora sì: abbiamo un problema. Grave. Che non è dettato dal virus (davvero eravamo così ingenui che lo avremmo debellato in meno tempo?). E nemmeno dai no vax (ai quali avrei tanto da dire, ma non è questa la sede). Il problema siamo noi. Sì, perché se in quindici giorni di vacanze, l’unica cosa su cui abbiamo saputo dibattere è stata “scuola aperta sì o no?”, significa che i primi a non crederci siamo noi. Noi adulti, noi politici, noi presidi, noi insegnanti. Perché è vero che i numeri dei contagiati sono in crescita, ma è altrettanto vero che a preventivare un’impennata del genere ci sarebbe arrivato il più ingenuo degli ingenui. Possibile non si sia riuscito a fare un minimo di programmazione? Sembra siano passati due anni invano. O quasi.

Che si potessero infettare i bambini era scontato: allora, perché non investire per davvero nella possibilità di una didattica a distanza seria ed efficace? Che potesse capitare ai loro docenti, altrettanto scontato: allora perché non potenziare davvero gli organici. Invece, a partire dalle Asl – chi scrive ne è testimone – le parole “sotto organico” sono state le più gettonate. Suvvia, un minimo di lungimiranza: a volte sembra di giocare a risiko. Ma stiamo parlando della crescita delle nuove generazioni, di profondere energia per un mondo migliore. O abbiamo davvero intenzione di continuare a navigare a vista? Perché sperare è cristiano ma improvvisare…

E poi, veramente, che le norme cambino con la stessa velocità delle varianti del virus, non permette un minimo di continuità nel metterle in pratica. E di organizzazione, anche per chi ce la mette tutta. Passando le notti insonni.

Qualche esempio: quando parleremo davvero di gestire diversamente classi sovraffollate, frutto di anni di tagli? Di scuole che cadono a pezzi, con mancanza di strumenti di aerazione efficaci? E della comica dei mezzi di trasporto, con tanto di norma e passo indietro del governo domenica pomeriggio sull’uso dei pullmini, cosa possiamo dire? Due anni e due governi non sono evidentemente bastati per cambiare, tornando evidentemente al punto di partenza. Ma anche qui, il Covid non centra: prima si sarebbero dovute fare scelte diverse, investendo davvero nell’istruzione.

Ma a preoccupare non c’è solo la mancanza di investimenti o di risorse umane, per non parlare del mancato vero riconoscimento della figura dell’insegnante. Prima di tutto spaventa una riaffiorante mancanza di coraggio nell’educare, nonostante le prove. Perché – per giorni – abbiamo sbandierato: meglio la Dad. Che educativamente significa: non tentiamo neanche. Ma che messaggio può passare da educatori cosi, che hanno paura della realtà e non fanno un tentativo tangibile per cambiarla? Saranno due mesi difficili, come quelli passati. Saremo tutti stanchi (e i problemi veri arriveranno in queste ore, con nuovi numeri, dobbiamo esserne consci) ma non potremo andare a scuola senza questa consapevolezza: noi siamo qui per voi e con voi, ragazzi. In una scuola, anche maledettamente imperfetta, ma continuo presidio educativo, che ha ragione di esistere solo se ci mette il cuore.

Paolo Usellini: