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Cristiani di Betlemme, gregge sotto assedio

Betlemme Il Muro di difesa appena fuori dall’enorme complesso dove avvengono i controlli di chi vuole uscire dai Territori (foto Bertoli)

Dietro una tenda di plastica verde ormai lisa, guardando attraverso gli ampi strappi provocati dal tempo, una piccola statua della Madonna veglia su Star Street. E’ ricoperta di polvere e ha il manto sbiadito dal sole; ma la sua presenza, in questa stretta strada semideserta, sembra comunque custodire le case ormai vuote di chi ha cercato altrove una vita dignitosa.

Siamo a Betlemme, nella via che è stata per centinaia d’anni casa di decine di famiglie arabe cristiane. Poche decine di metri più in là, in Manger Square, la Basilica della Natività custodisce il luogo dove è nata la loro fede; ma di fronte al conflitto, anche il richiamo della grotta nulla ha potuto per trattenerle: qui dove il cristianesimo è nato, la presenza cristiana è in calo costante.

Pochi minuti di camminata per le vie del centro, e alla Bethlehem University, fondata da Paolo VI nel 1973, le ragazze col capo coperto superano di gran lunga quelle senza velo. È il prof. Michel Sansur, executive vice president dell’ateneo, a fornire i numeri di un processo che sembra inarrestabile: “Gli arabi cristiani a Betlemme erano fino a poche decine di anni fa quasi il 90% della popolazione, oggi arrivano a fatica al 15%. I nostri stessi studenti – spiega Sansur – erano per l’80% cristiani nel 1973, mentre oggi lo sono solo il 23%”.

Numeri che fanno impressione, soprattutto a chi rimane. Perché a Gerusalemme le percentuali si abbassano ulteriormente, e in molte altre città e paesi della Cisgiordania arrivano addirittura a toccare lo zero: “In tutta la Palestina, i cristiani sono ormai solo l’1,7%”. è  Gloria Nasser stavolta a parlare. Nata a Betlemme, dove lavora come insegnante di italiano, è l’unica ad abitare proprio di fronte alla Basilica della Natività ed è di casa all’interno della chiesa cattolica di Santa Caterina. “Il crollo c’è stato a partire dal 2000, con la seconda intifada – ricorda – ma il fenomeno dell’emigrazione era già cominciato anni prima”.

Ritorniamo a percorrere Star Street con Vincenzo Bellomo, responsabile dei progetti della Custodia di Terra Santa a Betlemme. Varchiamo un portone. Pochi metri a sinistra, appeso al muro, ci accoglie un poster raffigurante Gesù Cristo. “Alcune di queste case – spiega Bellomo – accolgono ora famiglie seguite dalla Società Antoniana, casa di accoglienza che ospita donne e uomini poveri, soli o con gravi problemi mentali e fisici. Molte altre abitazioni sono invece completamente vuote: ristrutturate anni fa da una prima generazione di emigranti che in poco tempo aveva fatto fortuna soprattutto in Cile, ora sono nuovamente abbandonate”.

È ancora alla Bethlehem University che iniziamo a cercare le ragioni della decristianizzazione del territorio palestinese. ll prof. Michel Sansur chiede di sgombrare subito il campo da facili pregiudizi: “Vi prego, non c’è persecuzione dei cristiani da parte dei musulmani, questo deve essere molto chiaro. I cristiani qui non scappano dall’Islam: i cristiani qui scappano dall’occupazione israeliana che continua a togliere loro terra, acqua e dignità”. Riprendiamo il pullman per Gerusalemme. Dopo pochi minuti, il muro di cemento che separa Israele dai Territori palestinesi si staglia per 8 metri contro il cielo. Al checkpoint i palestinesi sono obbligati a scendere dal pullman. In piedi, ordinatamente in fila accanto al mezzo, custodiscono e mostrano il proprio passaporto come ciò che hanno di più prezioso. Non ci sono cristiani o musulmani qui: solo presunti terroristi per ora accomunati dallo stesso destino di oppressi.

Elisa Bertoli

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