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Verbania, il 29 al Teatro Maggiore gli autori dell’inchiesta: Sorella acqua, risorsa contesa

Secondo i dati della Banca mondiale, oggi nel mondo sono 507 le piccole o grandi “guerre” per l’acqua. Casi di tensione non risolti in via negoziale che, per l’agenzia CIA, fanno delle “questioni idriche un problema di stabilità mondiale”. Proprio dei conflitti per l’accaparramento dell’oro blu si parlerà sabato 29 settembre alle ore 16 a Verbania, nel foyer del Centro Eventi Il Maggiore. In occasione del festival LetterAltura, gli autori Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli presenteranno il libro Water grabbing. Le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo (Editrice missionaria italiana, 2018), primo volume dedicato a questo tema in Italia.

Ma cosa si intende nello specifico per water grabbing e perché questo fenomeno è in costante e preoccupante crescita? Con il neologismo water grabbing o accaparramento dell’acqua ci si riferisce a situazioni in cui attori potenti sono in grado di prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni la cui sussistenza si basa proprio su di esse.

Per capire perché, basti pensare che soltanto l’1% dell’acqua sulla superficie terrestre è potabile e che il 70% delle terre emerse è oggi a rischio desertificazione. Proprio il cambiamento climatico è la prima causa del water grabbing: secondo i dati delle Nazioni Unite, entro il 2030 il 47% della popolazione mondiale vivrà in zone “a elevato stress idrico”. Per questo l’acqua sta diventando un bene molto prezioso e conteso, oggetto di scontri commerciali, tensioni sociali e guerre internazionali: già nel nostro secolo, l’acqua sarà presto più importante del petrolio.

I 507 teatri dello scontro sono sparsi in ogni continente e non interessano solo il Sud del mondo: dallo scontro geopolitico tra India e Cina intorno al fiume Brahmaputra alle tensioni tra l’Autorità palestinese e il governo israeliano, fino alle scaramucce tra lo stesso Israele e il Libano, ma non solo. Le “guerre” per l’acqua sono infatti anche in Nepal, Bangladesh, Vietnam, Brasile, Sudafrica ed Etiopia, e toccano pure gli Stati Uniti.

In Pennsylvania, ad esempio, il processo di estrazione di gas non convenzionale ha portato intere zone a essere prive di acqua potabile, poiché le falde acquifere risultano inquinate dai gas di scisto. La costruzione di megadighe è invece un esempio di water grabbing rintracciabile in più di un contesto geografico: quella delle Tre Gole in Cina ha comportato il trasferimento forzato di 1,2 milioni di persone; la megadiga Gibe III in Etiopia sta colpendo con forza gli equilibri geo-sociali della popolazione della regione dell’Oromia (400 mila le persone interessate); la diga Merowe Dam in Sudan ha intaccato lo status di 50 mila abitanti, senza alcun indennizzo economico.

Ma se i numeri spaventano, la lotta della società civile a favore dell’acqua come bene comune non sempre è persa in partenza.

In Indonesia, nel 2017 la Corte suprema di Jakarta ha riconosciuto il diritto alla non privatizzazione dell’acqua, in precedenza appaltata a una multinazionale come Suez; ma anche a Cochabamba (Bolivia), Dar es Salaam (Tanzania), Kuala Lumpur (Malaysia), Berlino (Germania) e Accra (Ghana) non sono mancate soluzioni positive.

Elisa Bertoli

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