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Verso nuove reti di Welfare, ricerca del CST su Novarese e Vco

Chi sono i volontari? Quali sono le motivazioni e i valori che portano le persone ad impegnarsi nel volontariato? A queste domande ha cercato di dare una risposta territoriale la ricerca Scatti di volontariato. Fotografia della Solidarietà nelle Province di Novara e VCO prodotta dal Centro Servizi per il Territorio (CST) che incorpora il Centro servizi per il volontariato (CSV) delle province di Novara e VCO con sede legale a Domodossola. Una ricerca «qualitativa» e non indagine statistica su un campione territoriale composto da circa il 55% delle associazioni accreditate presso il CST: su un totale di 559 associazioni contattate, sono 291 quelle che hanno partecipato alla costruzione di questa ideale “Banca dati della Solidarietà”: 178 della provincia di Novara e 113 nel Verbano Cusio Ossola. «La ricerca nasce dalla necessità di avere un database per registrare in maniera digitale e puntuale i dati delle Associazioni ed avere una cronologia dei servizi offerti, erogati e di quelli più richiesti; e alle persone che possono consultarlo» dice la sociologa e curatrice del testo Manuela Rossi, responsabile dell’ufficio Comunicazione del CST. Scorrendo l’identità e la missione delle associazioni si nota come la società civile abbia creativamente risposto all’erosione dei servizi pubblici. In linea con i dati nazionali, la maggioranza del campione opera nell’ambito socio assistenziale (il 50%) e sanitario (17%), una sorta di infrastruttura dei tradizionali settori del Welfare; seguono la protezione civile, la promozione della cultura e dell’impegno civile. In misura minore la tutela dell’ambiente e dei beni culturali nei quali si registra una attività più intensa nelle associazioni del VCO. Quanti sono i volontari e qual è la loro età? «La gran parte del range associazionistico va da 11 a 50 volontari, ma occorre distinguere tra aderenti alle associazioni che sono per lo più i tesserati, i simpatizzanti e spesso i parenti degli utenti, e i volontari attivi che partecipano anche della vita organizzativa dell’associazione: questi sono sicuramente meno e comunque dipende strettamente dalla tipologia di associazione». Occorre tenere conto che si tratta per lo più di uomini e donne in età lavorativa e che hanno una certa sicurezza occupazionale e dunque maggiori risorse economiche. “Spiccano” i giovani, nell’affannosa ricerca della loro presenza all’interno del campione, per lo più nell’ambito di promozione della cultura. È forse la causa che sposano di più? «Bisognerebbe fare una ricerca ad hoc intervistando tutti ragazzi e ragazze. LIBERA, l’Associazione 21 Marzo sono ad esempio associazioni quasi esclusivamente formate da giovani. Quella del cambio generazionale – riflette Rossi – è una problematica molto sentita. Si sente spesso dire che i giovani non hanno voglia di impegnarsi e sono sempre attaccati al telefono, ma non è così. Quello che influenza è secondo me la frammentazione dei corsi di vita: impegnarsi per il prossimo significa anche avere un minimo di stabilità personale. Quando non si ha un lavoro stabile e non si sa cosa si farà domani si è un po’ ripiegati su se stessi e non si riesce a guardare gli altri. Forse questo disagio viene colmato in parte spendendosi con l’interesse per la cultura». Il corso della vita può anche avvicinare i giovanissimi alle associazioni, ma lo studio e la formazione professionale portano spesso a cambiare città e punti di riferimento. D’altra parte bisogna saper provocare, rendere le associazioni attraenti e flessibili; occorre sciogliere i nodi strutturali e andare incontro al cambiamento e all’innovazione.

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