*di Pierluigi Tolardo
Giorgia Meloni ha inserito nel suo discorso di insediamento alla Camera il tema del passaggio della democrazia italiana “da interloquente a democrazia decidente“. Il tema non è affatto nuovo: già Bettino Craxi, negli anni ‘80 dello scorso secolo, che fu il primo Presidente del Consiglio socialista del nostro Paese – novità assoluta anche allora – introdusse il tema del “decisionismo” per sostenere la necessità di passare da una democrazia parlamentare a una repubblica semi presidenziale sul modello di quella francese. Allora, sembrava che l’Italia non riuscisse a uscire da una pesante situazione economica fatta di stagnazione e inflazione a causa delle frequenti crisi di governo.
Il maggiore oppositore di questa tesi era un altro socialista: Sandro Pertini che era un Presidente della Repubblica molto popolare e anche interventista: mise fine allo sciopero illegale dei controllori di volo che erano militari costringendo il governo a smilitarizzarli. Pesava nel No all’elezione diretta del Capo dello Stato, con funzioni politiche e non solo di garanzia, come è attualmente, la memoria negativa del fascismo, con il suo culto del Capo, ma anche la visione delle convulsioni e dei fallimenti delle democrazie presidenziali dell’ America Latina in quegli anni: Brasile, Argentina, Cile. Valutazioni non univoche.
Uno dei capi dell’ antifascismo e della Resistenza, Leo Valiani, era fautore di una “democrazia forte” che passasse anche da una riforma presidenziale dello Stato. Sono passati alcuni decenni, la politica italiana è cambiata molto: non ci sono più i socialisti, i comunisti, la Dc ma anche la destra missina non è più quella di allora.
Le riforme costituzionali che si sono tentate – il Berlusconi del 2001 o il Renzi del 2016 – non hanno ottenuto il consenso popolare nei referendum Per rafforzare gli esecutivi, si è insistito sulle riforme elettorali, fondandole su leggi più o meno maggioritarie con risultati spesso inferiori alle attese e diversificati in base all’esito elettorale: a volte chiaro (come in queste recenti elezioni) a volte più confuso (a causa della frammentazione delle forze politiche e delle loro alleanze).
Giorgia Meloni, forte del risultato vincente per tre forze politiche tutte orientate al presidenzialismo, ripropone un tema certamente divisivo, anche se alcune voci (come quelle di Veltroni nel Pd) non sarebbero così sfavorevoli. Ugualmente Renzi: oggi collocato nel cosiddetto Terzo Polo. Rispetto alla cosiddetta Prima Repubblica è molto più forte la personalizzazione della politica, con il tramonto delle grandi ideologie, la fortissima mobilità dell’elettorato con l’avvento veloce e il tramonto precoce dei leaders, la nascita e la scomparsa sempre più accelerata di movimenti d’opinione.
Quello che sembra accresciuto è il distacco dei cittadini dalla politica con un aumento inquietante dell’astensionismo elettorale soprattutto nelle nuove generazioni. Le parole – per quanto solo parole – hanno il loro peso: certamente la politica deve produrre decisioni e non perdersi in discussioni ma la caratteristica “interloquente“ della democrazia non è una caratteristica secondaria, irrilevante o transitoria. Almeno nella tradizione dei cattolici italiani.
Democrazia è, soprattutto, dialogo del governo con le comunità locali, con le forze sociali, con il Terzo settore, con le formazioni nelle quali la persona umana cresce e si realizza. La Democrazia non si esaurisce nel voto di delega, nemmeno nell’elezione di un Capo o di una Capa per quanto validi e all’altezza. E’ sempre – e, soprattutto – interlocuzione: quindi interloquente, partecipativa, per arrivare a decisioni che siano seguite da nuove interlocuzioni. Una democrazia che sia soltanto decidente – tutta leader e personalità emergenti – non può che portare alla disaffezione dei cittadini.
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