Se il concepimento e la nascita diventano l’affare di un broker

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*di Laura Fasano

È ancora troppo presto per cantare vittoria  ma – certo – è un passo in avanti: la Commissione  giustizia della Camera ha adottato  il testo base della legge che propone di perseguire la maternità surrogata  (più comunemente “utero in affitto”) come reato universale. Se il provvedimento diventerà definitivo, in Italia potranno essere processate (e condannate) tutte quelle persone che si recano all’estero per concepire un figlio grazie alla gestazione di terzi. La legislazione italiana già vieta questa pratica. Il nuovo testo aggiunge che “le pene si applicano anche se il fatto è commesso all’estero”.   Impossibile  stabilire quanti ne facciano ricorso. La meta preferita era l’Ucraina.  Finora molte donne e molti uomini hanno pensato che la possibilità di affittare un utero, non potendo avere un figlio proprio, fosse un esercizio di libertà. Libertà di comprare e di vendere. Ma quando si parla di libertà i discorsi sono spesso astratti e interessati. Quindi, nella sostanza falsi. Per riportarli ad una verità accettabile la libertà va ricondotta alla concretezza. Nel caso dell’utero in affitto alla materialità dei soggetti e della situazione in cui avviene questo scambio. I soggetti sono appunto il compratore e il venditore. Comprano le coppie che vivono nella parte ricca del mondo e hanno la possibilità di sborsare per l’”operazione figlio” decine di migliaia di euro. Chi vende è una donna povera che vive dove non esistono altre possibilità che mettere a disposizione l’utero con quello che ne consegue. È libertà? È davvero libero chi vende o affitta una parte del proprio corpo per sopravvivere?  Perché una cosa è certa:  quello che con l’utero in affitto s’introduce è un rapporto di mercato in una sfera che con il mercato non dovrebbe avere nulla a che fare. Un rapporto fra forti e deboli fondato sulla sopraffazione.“Fammi un figlio e io ti pago” è un atteggiamento prepotente difficilmente tollerabile. Inaccettabile che il mercato e le sue regole entrino in una sfera che non appartiene alla compravendita ma a quella – da preservare con cura – dei sentimenti, del dono, della relazione.  Impossibile liquidare come una fissazione pro life la richiesta di rendere illegale e riprovevole il noleggio del grembo e della vita di una donna per i nove mesi che occorrono per far crescere e nascere un figlio d’altri, operazione realizzata con regolare contratto di compravendita che cataloga la maternità quale prestazione d’opera con precise condizioni da rispettare. Con un figlio come materia di transazione. Ad osservare bene la scena con genitori intenzionali, madre surrogata, venditori dell’ovocita e del seme, mediatore, avvocato,  personale medico (che lambicca  con la vita umana per miscelare gli ingredienti, scelti su un catalogo, in base a prestanza, salute e prezzo) la realtà mostra la profanazione di ciò che anche la coscienza laica non può non intendere, al dunque, come territorio sacro. Se il concepimento e la nascita diventano faccenda di broker, avvocati e biologi allora proprio nell’epoca che reclama sempre nuovi diritti si dovrà accettare che l’essere umano venga al mondo come bene di consumo, menomato del diritto più elementare: essere voluto e accolto da una madre e da un padre come un dono e non per ottemperare le clausole di un contratto. Il tempo del coltivare la vita nel grembo trasformato in un turno in fabbrica è un travisamento radicale dell’umano.  I contratti di noleggio di un ventre materno per un pugno di euro in Paesi dove  mettere al mondo il figlio di altri può voler dire rifiatare dalla miseria sono autentiche riduzioni in schiavitù’. Ripugnanti alla coscienza. Resta l’incancellabile abbrutimento  della filiazione  trasformata in prestazione d’opera, con le donne ridotte a “fattrici” selezionate su appositi cataloghi e soprattutto all’impegno di non far troppe storie, quando quella creatura che chiede il loro seno deve essere portata via.  Viene da domandarsi, di fronte ad un quadro così agghiacciante, se non possano in futuro ripetersi tristi episodi come quello della bimba commissionata da una coppia novarese che poi lo scorso novembre l’aveva abbandonata dopo essersi recata a Kiev per prenderla.  E’ certo che bisogna porre fine a questo mercato di sofferenza innocente e anche all’infelicita degli adulti che si illudono di riempire un vuoto con l’acquisto di un figlio. Se in tutto il mondo verrà dichiarata reato la maternità surrogata,  si taglierà la testa a questo mustruoso business . L’essere madri o padri è una possibilità e una potenzialità, non un diritto  da esercitare come fosse una necessità. Non è meglio impegnarsi per l’adozione invece che sostenere la maternità surrogata? 

* Vice direttore emerito de Il Giorno