Uno sguardo alla famiglia nel silenzio eloquente di San Giuseppe

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Il messaggio del vescovo Franco Giulio a tutte le famiglie, nel giorno della festa di San Giuseppe.

Venerdì 19 marzo si apre l’anno dedicato ad Amoris Laetitia, per valorizzare l’Esortazione apostolica con cui Papa Francesco, dopo i due sinodi sulla famiglia, aveva voluto tracciare la via regale perché la famiglia ritrovasse se stessa. Un percorso che parte il 19 marzo, festa di San Giuseppe, e che si colloca proprio all’interno dell’anno che il Papa ha voluto fosse a lui dedicato.

Attraverso la sua figura vorrei lanciare uno sguardo alla condizione delle famiglie oggi, in questi giorni in cui siamo ritornati in zona rossa. Le nostre famiglie vivono ancora fatiche e difficoltà, e le nostre case sono forse tornate ad essere un luogo dove è difficile coabitare. Ma con la consapevolezza che dall’esperienza vissuta possiamo trovare la strada per riscoprire l’essenziale.

Inizio dal primo testo in cui Giuseppe appare nel vangelo di Matteo, nel primo capitolo. In questo brano Giuseppe viene raccontato come l’ultimo anello della catena della storia della salvezza a cui Gesù appartiene. Dice così: «Giacobbe generò Giuseppe lo sposo di Maria dalla quale è nato Gesù detto il Cristo» (Mt 1,16). La figura di Giuseppe è quella che fa approdare a Gesù, che lo inserisce dentro una storia umana, gli fa prendere il volto di uomo. L’attenzione del lettore e del fedele, di solito, è puntata su Maria “madre di Dio”. Maria però sta accanto a Giuseppe, che è la “culla” che accoglie Gesù.

Poco più avanti, nel racconto evangelico, incontriamo il primo episodio nel quale Giuseppe è protagonista. È quello, molto famoso, del sogno in cui gli viene rivelato che Maria attende Gesù, «generato dallo Spirito Santo». Inizialmente Giuseppe si fa indietro, vuole farsi da parte. Ha quasi paura a mettere le mani su ciò che sta avvenendo nel cuore del mistero di Dio. Ma anche a lui viene dato un compito.

E il suo è un compito duplice. Anzitutto quello di accogliere Maria nella sua casa e quindi farla entrare nella relazione con la famiglia e in una dinamica di accettazione nella comunità. Vedete un tempo si era soliti definire san Giuseppe padre “putativo”. Come dire un padre “supposto”, “immaginato”. Non è un bel modo per definirlo. Invece Giuseppe, diventa secondo la legge ebraica padre “legale”: ciò avviene prendendo con sé Maria e – questa la seconda parte del suo compito – dando il nome a Gesù.

È interessante notare come Giuseppe nei Vangeli non dica mai una parola. Nemmeno il suo “sì” al Signore è esplicitato. Verrebbe da dire che è come spesso accade anche oggi agli uomini e ai papà nelle nostre famiglie: che non possono commentare, ma gli tocca solo eseguire! Ma nel silenzio di Giuseppe è custodito qualcosa di bello e di essenziale, proprio nel momento in cui risponde al suo compito di dare il nome a Gesù.

San Giuseppe appare ancora, in seguito, durante la fuga in Egitto per mettersi in salvo dal re Erode. Si legge nel testo di Matteo: «Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13). San Giuseppe è l’uomo che si fa custode. L’uomo che si prende cura di tutta la famiglia insieme. La cura è una forma con cui dare fiducia, suscitare speranza, dare attenzione. E questo è il secondo grande gesto eloquente che fa san Giuseppe.

L’ultimo gesto di eloquenza di Giuseppe, che parla attraverso le opere, lo si incontra nell’episodio del ritorno dall’Egitto. Di nuovo c’è un sogno e un angelo che parla a Giuseppe: «un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nel paese d’Israele”» (Mt 2,19-20). In realtà san Giuseppe non andrà nella terra dove Gesù era nato – a Betlemme -, ma opererà un triplice dirottamento. Rientrerà in Israele, poi punterà verso la Giudea ed infine andrà in Galilea, per arrivare a Nazareth.

In questo triplice dirottamento, san Giuseppe emerge come uomo che sa leggere i segni della storia. Egli si accorge che non è sicuro per la famiglia tornare a Betlemme, perché ancora c’è la minaccia del figlio di Erode, Archelao. E allora lo porta in una zona franca, una zona dove la famiglia può crescere. Ecco questo è l’atto che dobbiamo fare anche noi quest’anno. Intuire e scrutare i segni della storia. Speriamo in pochi mesi di riuscire a rinascere alla vita nuova. Per farlo è necessario ripartire dalla famiglia, perché diventi un luogo di speranza, di fiducia e di liberazione.

In conclusione chiedo a tutti una cosa sola, molto importante. Essere attenti nell’accompagnare quei ragazzi, adolescenti e giovani che hanno avuto questi due anni scolastici sospesi o negati. Vi chiedo di essere vicini soprattutto a quelli che sono in un’età di passaggio: dalla terza media alla prima superiore; dall’ultimo anno delle superiori al primo anno dell’università. E anche tutti quei giovani che vogliono iniziare il cammino del matrimonio.

Hanno bisogno del papà e della mamma e della famiglia perché questi anni negati vengano recuperati in fretta.