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Le patronali, i matrimoni,  i grest e il catechismo: i prossimi mesi per le nostre parrocchie saranno differenti. Non cambierà il sentirsi “famiglia di famiglie”. L’editoriale di don Fausto Cossalter, vicario generale della diocesi di Novara.

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Il forzato isolamento nelle case, che si prolunga ormai dall’8 marzo, ha reso la Quaresima 2020 particolarmente intensa e concreta. Ogni comunità cristiana ha elaborato, a volte anche sbizzarrendosi con fantasia, diverse proposte che hanno nutrito il cammino spirituale dei fedeli in preparazione alla Pasqua. E a Pasqua, adesso siamo giunti…
Siamo entrati in un lungo tempo di cinquanta giorni di sconvolgente annunzio di Vita. Se l’isolamento può aver aiutato a vivere la Quaresima più intimamente, ora come annunciare la speranza e la Risurrezione nel “silenzio” che continua? Questo tempo, meteorologico e liturgico, dovrebbe essere tutto un’esplosione di vita: dalla natura che fiorisce, agli “Alleluia” che risuonano, al desiderio, ancora più intenso, di incontro fraterno tra noi.
E invece restano ancora i timori, le paure e le doverose attenzioni e limitazioni da accogliere e praticare.
È difficile, oggi, fare previsioni su quando e come ripartiremo pienamente nelle attività ordinarie, ma sappiamo che per le comunità cristiane i mesi di aprile, maggio e giugno sono il tempo in cui anche gli appuntamenti e i richiami ecclesiali si manifestano con maggior intensità.
Sono le tante feste patronali, momenti straordinari di incontro e di riscoperta della propria storia e identità. Sono le celebrazioni delle Messe di prima Comunione o dei battesimi, occasioni per esprimere il senso della festa, della vita, della mensa fraterna che si nutre del Pane vivo, e che diventano anche occasione di attesi ritrovi familiari.

Penso ai fidanzati trepidanti e ansiosi nei preparativi del loro matrimonio già programmato e forse, con tristezza, rinviato. Penso agli animatori impegnati nella programmazione estiva dei grest e delle attività giovanili, segno di vitalità, fantasia e attenzione educativa delle nostre parrocchie. E invece, per tutti, ancora attesa e speranza, compensate solo in parte dalle tante possibilità di incontro offerte dai social…
In queste settimane, ho ricevuto parecchie lettere e messaggi di fedeli che si lamentavano per la durezza di un “digiuno” eucaristico prolungato, (qualcuno anche incolpando la chiesa di cedimento ad “altri poteri” (sic.)… che guaio quando la fede e la ragione si oppongono…), ma che dire della durezza vissuta dai sacerdoti che, pur potendo celebrare ogni giorno privatamente, sono impediti del dono grande dell’Eucaristia vissuta con la loro comunità? La vita ecclesiale è anche, infatti, incontro, è guardarsi negli occhi, sentire il calore dell’abbraccio, cogliere le emozioni di una presenza, sperimentare una fraternità concreta. I sacramenti non si trasmettono via etere…
Questo virus che è entrato subdolamente nella nostra vita quotidiana seminando paura e sgomento, ci ha rivelato però alcune cose importanti su noi stessi e sul mondo: anzitutto la nostra fragilità e vulnerabilità, e ci ha fatto sentire con più intensità il bisogno delle relazioni e degli incontri. Certo, siamo stati invitati a proteggerci gli uni dagli altri, ma noi siamo stati creati non per difenderci dagli altri, ma per amarli! Se questo lungo tempo “appartati” ci ha aiutato a rientrare in noi stessi, a conoscerci meglio, a dedicarci del tempo, a dedicare più tempo al Signore nella preghiera e nell’ascolto della sua Parola, ci ha fatto però sentire il peso della mancanza dell’ordinarietà della vita della comunità cristiana. Perché Dio vuole che andiamo a Lui insieme, gli uni con gli altri, il suo Regno non è un luogo di isolamento, ma di vita fraterna! Nessun contatto social può rimpiazzare la bellezza dello sguardo, dell’incontro, della premura reciproca.
La nostra chiesa diocesana, attraverso i molti centri di ascolto delle Caritas parrocchiali, ha manifestato una vicinanza e un impegno straordinario, grazie a tante persone che hanno donato beni e tempo, per venire incontro ai molti fratelli in difficoltà. Molto dovrà doverosamente essere ancora fatto nei prossimi mesi, ma c’è un’altra carità da offrire, oltre ai beni materiali: la riscoperta e la testimonianza di una vita comunitaria autentica, accogliente, fatta di relazioni belle, senza protagonismi fastidiosi, di luoghi dove ciascuno possa sentirsi amato e percepire che al centro non ci sono alcune persone con belle proposte, ma c’è il Cristo Risorto, fondamento della nostra speranza. Nessun virus dovrà limitare il dono che sono le nostre parrocchie: luoghi dove si annuncia e si testimonia la bellezza del Vangelo, nei fatti, per tutti!