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Sebastiano Vassalli, testimonial quest’estate delle Dolomiti

Sebastiano Vassalli in Val di Zoldo nel 2015

Il novarese Sebastiano Vassalli testimonial delle Dolomiti quest’estate. Una mostra sul suo Marco e Mattio tra Val di Zoldo e Venezia.

“Il romanzo di una valle” s’intitola il progetto culturale sullo scrittore novarese con mostra itinerante che sarà inaugurata questo sabato 27 luglio a Val di Zoldo (Belluno), che diede allo scrittore la cittadinanza onoraria. L’estate culturale delle Dolomiti quest’anno è anche letteraria e parla novarese grazie alla mostra che Val di Zoldo (Belluno) dedica dal 27 luglio al 31 agosto al caso editoriale di Marco e Mattio di Sebastiano Vassalli sotto il titolo “Il romanzo di una valle”.

L’opera dello scrittore premio Strega 1990 con La chimera e poi candidato anche al premio Nobel nell’anno della sua scomparsa, il 2015, è al centro di una mostra, a cura di Roberto Cicala e Valentina Giusti, che ricostruisce la genesi dell’opera attraverso carte preparatorie, appunti e corrispondenza inedita, illuminando i rapporti di Vassalli con la valle e con Venezia, luoghi in cui l’autore ambienta il libro.

Inoltre un itinerario letterario ai piedi delle Dolomiti è tra le proposte a cura di Angelo Santin, presentate nel progetto culturale lanciato dal Comune di Val di Zoldo (che diede a Vassalli la cittadinanza onoraria), con il sindaco Camillo De Pellegrin e grazie al patrocinio dei Comuni di Belluno e Longarone, dellaFondazione San Servolo-Città Regionale di Venezia, del Ministero Istruzione Università Ricerca-Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto-Ufficio IV Ambito Territoriale di Belluno, con la collaborazione del Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica, del Centro Novarese di Studi Letterari e di Educatt. Così la cultura novarese va in trasferta, dando all’autore novarese l’importanza nazionale e internazionale che ha.

«Storie oscurate dalla Storia» hanno sempre interessato lo scrittore Sebastiano Vassalli che, dopo il Seicento della Chimera, sceglie nel 1992 l’epoca di Napoleone per raccontare la vicenda di Marco e Mattio tra le Dolomiti di Zoldo e Venezia. È il romanzo di una valle al centro della mostra che illumina per la prima volta le carte preparatorie conservate nell’archivio dell’autore, tra abbozzi, appunti di viaggio, libri consultati e corrispondenze epistolari. Val di Zoldo rende così omaggio, anche con un percorso letterario, a chi ha narrato la vicenda drammatica di Mattio Locat, uno dei primi casi clinici della psichiatria moderna, mostrando luci e ombre della montagna e del carattere nazionale degli italiani e dando voce ai sogni di un folle e perdente eppure capace, nei momenti più difficili, di «alzare gli occhi verso il cielo stellato».

La mostra Il romanzo di una valle a cura di Roberto Cicala e Valentina Giusti (con filmati di Matteo Silvan anche al Museo del Ferro e del Chiodo, Forno di Zoldo) sarà inaugurata sabato 27 luglio a Forno, nel Municipio (con catalogo Educatt) e resterà aperta fino al 31 agosto con orario 9-19. La mostra sarà esposta successivamente a Longarone, palazzo Mazzolà, 6-29 settembre; Belluno, 5 ottobre-3 novembre 2019; Venezia. Isola di San Servolo, 15 marzo-10 aprile 2020.

Come scrive lo stesso Vassalli, Marco e Mattio «racconta la vicenda terrestre di Mattio Lovat, nato a Casal di Zoldo il 12 settembre 1761 e morto a Venezia l’8 aprile 1806: che per alcuni suoi comportamenti – diciamo così – inconsueti, e per i fatti strani e gravi che precedettero la sua fi ne, venne considerato uno dei primi “casi clinici” della psichiatria moderna e trattato come tale da diversi autori, in Italia e all’estero. Grazie alle nuove cognizioni della medicina e con il senno di poi, noi oggi possiamo dire che quel caso clinico, così come allora fu posto, era sbagliato, e che Mattio Lovat morì di un male antico e terribile chiamato pellagra: ancora molto diffuso, ai giorni nostri, in Africa e nelle regioni povere del pianeta. […] Mattio Lovat, ammalato di pellagra, fu dichiarato pazzo e finì i suoi giorni in manicomio, in quell’isola di San Servolo davanti a Venezia dov’era in funzione fi no dai tempi della Serenissima uno dei primi ospedali psichiatrici della storia d’Europa. […] Devo aggiungere che la vita di quel matto di due secoli fa è uno straordinario romanzo, per l’ambiente favoloso e tragico in cui si svolse e per l’interrogativo che ha lasciato sospeso, sulla sua stessa epoca e sulle epoche successive. Mattio credeva di dover salvare il mondo e morì per salvarlo: lo salvò? Chissà. […] L’altra storia che si racconta in questo libro, parallela e simmetrica rispetto a quella di Mattio, è la storia del misterioso don Marco: un uomo di cui ignoriamo la data di nascita e anche quella di morte (la sua leggenda, addirittura, lo vorrebbe immortale!), ma di cui conosciamo molte avventure passate, e su cui molto è stato scritto nel corso dei secoli. Questo personaggio, noto anche con i nomi di Cartafilo, Assuero, Joseph, Peter e altri che non sto a elencare, ha fatto parlare a lungo di sé, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, e poi è scomparso all’inizio del secolo scorso senza che nessuno più abbia dato notizia di lui: le sue ultime vicende, infatti, avrebbero potuto essere raccontate soltanto da chi avesse conosciuto e raccontato la storia di Mattio Lovat, che lo liberò dalla condanna a vivere in eterno e gli permise di morire. Don Marco – l’“Ebreo errante” di sette secoli di letteratura europea – negli ultimi anni della sua vita e nelle pagine del mio libro si contrappone al “folle” Mattio come il male si contrappone al bene, e però è anche colui che gli insegna a guardare il cielo stellato: perché sa – meglio di qualunque altro uomo al mondo! – che vivere entro orizzonti esclusivamente umani può venire a nausea, e che il rimedio migliore contro quella nausea è lasciar vagabondare lo sguardo e il pensiero tra i corpi celesti che stanno sospesi lassù sopra le nostre teste, senza un motivo apparente e senz’altra funzione che quella, appunto, di essere guardati e pensati… La curiosità per la vita al di fuori dell’uomo: nelle erbe, negli insetti, nelle montagne, nei mondi lontani, è il legame che unisce tra loro i protagonisti della mia storia ed è anche ciò che li unisce al loro autore, la ragione che mi ha spinto a cercarli e a farli rivivere».

Monica Curino: