Fuori dal coro: Nella Brexit scenari inesplorati e fallimenti dell’Unione

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Rientra nei poteri di uno Stato membro decidere di ritirarsi dall’Unione Europea. La previsione in una disposizione del Trattato esclude che per la procedura di recesso ci si possa avvalere di altre azioni desunte dai principi del diritto internazionale. La Brexit, cioè il ricorso britannico a questa clausola, è il naturale esito del referendum consultivo del giugno 2016. I risultati, oltre a mostrare una spaccatura nel Paese giacché il voto favorevole all’uscita ha ottenuto solo il 51,9%, hanno evidenziato gravi problemi politici interni: gli elettori scozzesi infatti hanno votato ampiamente per la permanenza nell’UE. Nel marzo del 2017 con la presentazione della relativa richiesta da parte del Governo britannico la procedura ha avuto ufficialmente inizio.

Da allora è emersa la necessità di negoziati per definire le regole della separazione e per delineare il quadro di riferimento per i futuri rapporti fra Regno Unito e Unione Europea. L’art. 50 del Trattato prevede che le prescrizioni comunitarie cessino di essere applicabili a decorrere dall’entrata in vigore delle intese propedeutiche al recesso; in mancanza di un accordo gli effetti dell’uscita si producono due anni dopo la notifica dell’istanza, salvo che il Consiglio Europeo decida di prorogare tale termine. Il processo che dovrebbe portare la Gran Bretagna all’uscita dall’Unione ha avuto una pausa per le elezioni anticipate indette dal governo britannico nella vana speranza di ottenere un più solido consenso interno e rafforzare la propria posizione politica in previsione dei negoziati, ripresi poi nel luglio 2017 e tuttora in corso. Alcuni problemi pratici da risolvere. Sono 3 milioni i cittadini comunitari che risiedono nel Regno Unito e che quindi dovranno ottenere uno status definitivo. Potrebbe essere previsto un periodo di permanenza di alcuni anni in seguito al quale si potrebbe conseguire il diritto di cittadinanza. Sarà sicuramente più complicato per i lavoratori e costoso per gli studenti trasferirsi nelle sedi britanniche. Nel bilancio europeo dovranno essere previste entrate che compensino l’apporto britannico. Anche la libera circolazione delle merci dovrà essere oggetto di specifiche trattative. In proposito è stato ipotizzato dalla stampa inglese che la Gran Bretagna possa chiedere di entrare nel Nafta, il trattato di libero scambio commerciale tra Stati Uniti, Canada e Messico. Si prospettano problemi anche sul fronte interno. La Scozia, ora che il governo inglese sarà libero dai vincoli di Bruxelles, potrebbe essere privata delle innumerevoli competenze che la devolution del 1997 le aveva attribuito. Perderà inoltre i fondi europei di cui finora ha largamente beneficiato. Il confine fra Irlanda del Nord e Irlanda, quotidianamente transitato da molte migliaia di lavoratori, potrebbe eccezionalmente diventare una zona di libero transito, una specie di piccola ‘area Schengen’. Quel che è certo è che siamo alla vigilia di cambiamenti epocali. L’Europa non si caratterizza solo per la sua dimensione territoriale, ma come teatro di vicende avvenute in un comune contesto storico, culturale e politico. La ‘Brexit’ apre scenari mai esplorati; è il prodotto di aspettative deluse, di un malessere diffuso, di insuccessi sui quali i 27 Paesi dovranno riflettere.

E’ significativo che nel referendum britannico coloro che volevano rimanere nell’Unione fossero quelli che auspicavano l’apertura delle frontiere, mentre coloro che hanno votato per l’uscita sono quelli che temevano tale apertura. L’Europa, riflette Enrico Letta nel bel saggio Contro venti e maree, viene classificata dalla parte dello spazio libero, mentre la maggioranza della popolazione richiede protezione e frontiere. Oggi sono i leader politici a seguire il popolo, e non viceversa. Perciò essi chiedono frontiere e se la prendono con l’Europa.