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«Ai tempi della mia giovinezza presbiterale ci aveva affascinato una formula: “il credente che diventa prete”. Ora che è passato tanto tempo, mi appare in bella evidenza che la formula può essere capovolta: “il prete che resta credente”. Così espressa, però, la formula diventa provocante, perché allude al grave pericolo che si può essere preti e vescovi praticanti, senza rimanere credenti». Una provocazione che, però, nasce da uno sguardo, preoccupato e attento, ai rischi che la vita quotidiana spesa nel ministero può portare con sé.

L’ha fatta ieri, giovedì  18 aprile, mons. Franco Giulio Brambilla nella celebrazione in cui l’intero presbiterio si riunisce intorno al suo vescovo per la consacrazione degli oli sacri e per rinnovare le promesse sacerdotali, in una cattedrale gremita di sacerdoti per la Messa del Crisma. In un anno «tribolato» per la Chiesa locale e universale, parole che sono state un accorato richiamo al fondamento stesso dell’essere “preti credenti”, attraverso una domanda «radicale», ispirata dalle parole di Luca, lette durante la celebrazione: «lo Spirito del Signore riposa sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione». «Radicale» proprio perché «sta alla radice del nostro essere ordinati: “come è la nostra vita spirituale?”». Quasi la conclusione di un ideale itinerario per ritrovare i nuclei pulsanti della vocazione alla vita cristiana, indicati dal vescovo in questa Quaresima: la risposta ad un Amore più grande per i fidanzati – che aveva incontrato ad inizio aprile –; l’apertura ad una Speranza che guarda al Signore costruendo relazioni e comunità per i giovani – con i quali ha vissuto sabato scorso la Gmg diocesana -; ed infine, ieri: la freschezza e la vitalità di una spiritualità alimentata dalla Fede per i sacerdoti. E anche in questo ultimo appuntamento, prima dell’avvio del Triduo pasquale, mons. Brambilla ha calato nella vita concreta la sua meditazione, declinando la domanda iniziale in altri tre interrogativi: «Come lascio riposare lo Spirito sopra di me?»; «Quali sono i cardini della mia vita spirituale?»; «Quali sono i tempi e momenti in cui si esprime la mia vita spirituale?». «Mi sembra che lo Spirito non scenda su di noi, quando il nostro ministero è narcisista: quando ciò che lo muove è la continua ricerca di approvazione e ammirazione ed è solo preoccupato dei like su Facebook – ha detto mons. Brambilla rispondendo alla prima domanda -. Quando il nostro ministero è iperattivista, si strema in molte incombenze e non riesce a condividerle con i laici. Quando il nostro ministero è depresso, si lascia guidare dal “si è sempre fatto così”, si trascina stanco e demotivato a gestire l’ordinario». Al contrario, «lo Spirito scende su di noi, quando il nostro ministero è umile e duttile, si lascia educare il cuore. Oggi, voglio lodare la grande “maggioranza silenziosa”, che è qui presente, che lavora umilmente, che ha il senso della chiesa, che propone l’immagine di un presbitero solare che trasmette fiducia e speranza».

Con il secondo interrogativo, il vescovo è entrato nel cuore della vocazione e del ministero, sottolineando tre aspetti della spiritualità del sacerdote diocesano: «Oggi direi che è necessaria una vita spirituale cristocentrica, eucaristica e sinodale». Cristocentrica, ha spiegato, «perché è una vita “vestigia Christi sequentes”! Proviamo a vedere come la nostra predicazione e il nostro annuncio siano incentrati su Cristo, il “Signore che si fa servo”, perché aiuti i nostri fratelli ad essere “servi che diventano (come) il Signore”». Eucaristica, «perché è una vita di comunione al “sacrificio di Gesù”. Verifichiamo se la messa non è diventata nostra proprietà e non è più la divina liturgia della Chiesa, perché decidiamo noi che cosa fare, come imbellettarla e renderla stravagante». E Sinodale, «perché è una vita capace di prendere il respiro dei fratelli e della gente».

Ed infine, con la terza domanda, il vescovo ha proposto una strada concreta per ritrovare l’ossigeno della spiritualità nel ministero: «La vita spirituale, come l’amore umano, ha bisogno di tempi e momenti. E allora, da questo Giovedì santo alla fine dell’anno pastorale, prendetevi una giornata di solitudine, e fate passare alla lente di ingrandimento di queste mie poche e povere parole gli ultimi cinque anni, per rispondere a questa semplice domanda: la mia vita spirituale è armonica e capace di darmi gioia e serenità, anche attraverso le fatiche del ministero?».