Terrasanta, colloquio con l’attivista per i diritti umani Mahmoud Abu Rahma: «Noi palestinesi, vivi ma senza aver una vita»

0
[bsa_pro_ad_space id=2]

Se le attuali violazioni di diritti umani e del diritto internazionale continuano nell’indifferenza generale, la situazione «non può che peggiorare» per i cinque milioni di palestinesi residenti nei Territori occupati e per i due milioni di abitanti della Striscia di Gaza: «gli Stati arabi e l’Unione europea devono riassumere l’iniziativa sulla questione palestinese». Non usa giri di parole l’attivista Mahmoud Abu Rahma, portavoce del Centro per i diritti umani Al Mezan con sede a Gaza, alla vigilia dell’appuntamento promosso a Torino per sabato 1 dicembre in occasione della 51esima Giornata mondiale di solidarietà con i palestinesi. Patrocinata dalla Città di Torino con le Acli Piemonte e l’Anpi di Cuneo, il convegno prevede diversi interventi fra i quali quelli di Abu Rahma e altri attivisti palestinesi a partire dalle 9,30 al collegio san Giuseppe (ingresso da via Doria), sulla “Palestina a 70 anni dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo” e, dalle 14,30, altre prolusioni come quella dell’israeliano Ronnie Barkan, sul tema “Resistenza, dissenso, solidarietà, impegno della società civile e politica”. «Le politiche di colonizzazione e la frammentazione delle comunità palestinesi – denuncia Abu Rahma – non potranno che comportare un prezzo altissimo per i palestinesi: il controllo militare sulle nostre vite continua, e sia nei Territori sia a Gerusalemme est i palestinesi continuano a vedersi negati i diritti alla terra, a costruire abitazioni, all’accesso all’acqua e alle risorse come avviene da quando, nel 2004, è stato costruito il Muro di separazione dichiarato illegale dalla Corte internazionale di Giustizia». Nella stessa direzione, aggiunge, vanno gli interventi legislativi decisi dal governo israliano come la legge sullo “Stato della nazione ebraica”, approvata lo scorso luglio, che considera l’estensione degli insediamenti nei Territori come “interesse nazionale”. La preoccupazione, dice l’attivista, è soprattutto per i giovani under 29, che costituiscono più della metà della popolazione palestinese, che non vedono alcuna prospettiva di futuro. «Sono loro stessi – racconta – a dirci: siamo vivi ma non abbiamo una vita. Chiunque anche fra le organizzazioni umanitarie internazionali critichi la politica di Netanyahu e la militarizzazione della vita quotidiana nei Territori viene attaccato: la stretta alleanza con Trump peggiora lo scenario». Quanto alla successione al presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen, «c’è un’atmosfera di grande incertezza a causa dei conflitti che hanno indebolito il sistema politico palestinese». «Non c’è solo la frattura fra Hamas e Fatah – spiega – ma anche le divisioni all’interno della stessa fazione di Fatah, che ormai durano da anni. è ovvio che questa confusione politica nuoce alla causa palestinese e gli esponenti delle varie correnti dovrebbero lavorare sodo per superare le divisioni, colmare il deficit democratico che stiamo vivendo e rafforzare il sistema politico: questo può essere ottenuto solo attraverso il pieno rispetto delle leggi e dei diritti umani, in modo da spianare la strada verso elezioni democratiche e restituire al popolo il potere di forgiare il futuro».